Con i referendum di CGIL, sostenuti da PD, 5 Stelle, + Europa e false sinistre, NON SI ABOLISCE IL
JOBS-ACT, come vogliono farci credere con una campagna pubblicitaria ingannevole, ma solo parti
di alcune norme, in parte già superate.
Prima di chiederci a cosa dovrebbero servire i referendum, per i quali si è chiamati al voto, è bene chiederci a chi servono.
Servono a recuperare il crollo del consenso del PD dovuto alla sudditanza al potere finanziario e padronale.
Servono a rilanciare la credibilità della CGIL nei luoghi di lavoro e a ricostruirne la devastante
collaborazione con i poteri forti.
Questa organizzazione è inserita nei consigli di amministrazione dei fondi pensionistici e sanitari privati, raccoglie adesioni con l’uso distorto dei servizi di patronato e di assistenza fiscale. CGIL e PD sono corresponsabile della situazione in cui si trova la classe lavoratrice oggi.
Non intendiamo dare un’indicazione di voto, ma semplicemente, con coraggio, svelare la verità e i
compromessi che vi sono dietro.
La CGIL, promotrice dei 4 referendum sul lavoro, ed i partiti che li sostengono, sono gli stessi che si sono
mobilitati e che hanno votato a favore dell’economia di guerra e del riarmo voluti dall’Unione Europea, al
prezzo del pesante indebitamento delle nazioni e degli stati a favore della stessa U.E., quella della finanza e delle multinazionali delle armi, come, a suo tempo, quella delle case farmaceutiche, nel periodo del Covid.
Parliamo della stessa CGIL il cui apparato non fece granché di opposizione al proprio partito di riferimento,
il Partito Democratico, che nel 2014 aveva sostenuto e votato l’approvazione del JOBS-ACT (imposto
dall’Unione Europea).
Con questa clamorosa piroetta contano di incantare ancora una volta un intero Paese, non solo i lavoratori e le lavoratrici.
Lo strumento referendario è molto delicato da maneggiare ed è diventato storicamente perdente quando la materia riguarda il lavoro dipendente.
I diritti sul lavoro sono stati conquistati, si difendono e si continua a migliorarli con la lotta di classe non con strumenti di dubbia efficacia proprio perché si chiama al voto l’intero corpo elettorale, all’interno del quale troppi sono gli elettori non direttamente coinvolti e motivati a schierarsi a favore del lavoro dipendente.
Non possiamo dimenticare, a titolo di esempio, il drammatico esito del referendum che confermò l’eliminazione della “scala mobile”: il meccanismo che adeguava automaticamente i salari all’inflazione reale (anche questo sollecitato dall’Unione Europea).
La vicenda referendaria appare, con tutta evidenza, costruita come uno specchietto per allodole al fine di
coprire l’intenzione, più volte ribadita, di promuovere subito dopo la legge (sostenuta dal PD) sulla
rappresentanza nei luoghi di lavoro, con cui si intende trasformare in norma di legge il Testo Unico frutto
dell’accordo del 10.01.2014.
Perseguono l’obiettivo palese di eliminare del tutto le OO.SS. che non si rassegnano alla logica delle compatibilità senza conflitto, senza la lotta per i diritti e il salario. Un testo che metterebbe ulteriormente a rischio il diritto di sciopero e l’agibilità sindacale per i lavoratori e le organizzazioni che non si sottomettono ai sindacati compiacenti alle associazioni industriali.
Alle lavoratrici e ai lavoratori bisogna raccontare la verità, non strumentalizzare questioni importanti per fini elettoralistici.
Molte persone e organizzazioni sindacali di base hanno fiutato, e ci vuole poco, l’inganno e hanno valutato molto lucidamente le ragioni per cui sono stati promossi i 4 referendum ma non assumono un atteggiamento conseguente.
O sono vittime in ogni caso dell’inganno più generale, o sono parte esse stesse dell’inganno.
E’ bene evidenziare che, anche in caso di successo di alcuni dei quesiti referendari su questioni di lavoro,
affinché ne tragga beneficio un lavoratore dipendente ci si affida alla benevolenza dei giudici del lavoro.
La montagna ha partorito il topolino rachitico.
Chi può garantire che la magistratura automaticamente si schieri dalla parte del lavoro dipendente?
Nel merito:
Il 1° quesito, propagandato come il superamento del jobs-act e il ripristino dell’art. 18 dello Statuto dei
Lavoratori, è il più falso e mistificante: è riferibile a casi di licenziamento senza giusta causa, mancante di
motivazione oggettiva o soggettiva.
La giurisprudenza, mediante varie decisioni della Corte di Cassazione, ha di fatto ripristinato la reintegrazione anche nei casi in cui i vizi del licenziamento siano stati meno lampanti, ad esempio un licenziamento disciplinare, il fatto addebitato, pur sussistente non venga giudicato sufficientemente grave.
I promotori fanno credere che si punti a cancellare le norme che permettono, per i lavoratori assunti dopo il 17/03/2015, licenziamenti individuali ingiustificati, in aziende con più di 15 dipendenti senza l’obbligo di reintegra e che si punti a cancellare le cosi dette “tutele crescenti”, norma già corretta al rialzo per legge dal “Decreto dignità” e successivamente modificata dalla Corte Costituzionale con il risultato che oggi il risarcimento può arrivare fino ad un massimo di 36 mensilità.
Paradossalmente, se la maggioranza degli italiani si recasse a votare e dovesse prevalere il sì, si tornerebbe indietro alla Riforma Fornero del 2012 con il massimo del risarcimento a 24 mensilità.
Il 2° quesito relativo all’indennizzo per i licenziamenti nelle aziende con meno di 16 dipendenti, si propone di eliminare l’attuale tetto massimo di 6 mensilità.
In realtà, se passasse il sì all’abrogazione parziale di questa disposizione, ci si affiderebbe comunque alla discrezionalità del giudice, non sempre favorevole ai lavoratori.
Il 3° quesito, che viene venduto come l’abolizione del lavoro precario, nella realtà (pur ritenendo da parte
nostra che tutti i contratti a termine dovrebbero avere la causale) deve fare i conti con il fatto che, nella
stragrande maggioranza dei CCNL, chi ha sottoscritto e continua a sottoscrivere la possibilità di utilizzare un numero spropositato di contratti a termine da parte dei datori di lavoro, sono proprio CGIL, CISL e UIL (nel recente CCNL dei trasporti e Logistica fino al 42%).
In sostanza il reinserimento delle causali nei contratti a termine inferiori ai 12 mesi non garantisce la stabilità del rapporto di lavoro e non scalfisce il precariato.
Il 4° quesito sulla sicurezza si prefigge di modificare le leggi che governano il sistema degli appalti, con
l’estensione della responsabilità al committente per danni derivati dagli infortuni sul lavoro, subiti da
dipendenti dell’appaltatore (si riferisce alla eventuale quota eccedente del risarcimento dell’INAIL).
La necessità oltre alla responsabilità del committente è e resta di lottare affinché non ci siano appalti e
subappalti al ribasso scaricando costi e mancanza di sicurezza sui lavoratori.
Il 5° quesito non ci può vedere ostili, in termini di principio, ma va detto anche che la questione
dell’immigrazione, perennemente mal posta e mal gestita, andrebbe sottratta ai professionisti del dibattito interminabile ma senza soluzioni utili.
Smascheriamo i falsi “amici” dei lavoratori e delle lavoratrici: per cancellare JOBS-ACT, precarietà,
omicidi e infortuni sul lavoro, leggi che reprimono il dissenso e la lotta dentro e fuori i luoghi di lavoro, occorre invertire i rapporti di forza con la lotta e il protagonismo dei lavoratori che la CGIL ha
abbandonato già dagli anni 80!
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