-La crisi di un sistema-

La produzione nazionale di Stellantis in Italia, è critica, Pomigliano, nonostante fosse il sito produttivo trainante con il 64% della produzione nazionale,  continua la rincorsa agli ammortizzatori sociali ininterrottamente  sin dal lontano 2008.

Nonostante i vari piani industriali che prevedevano il rilancio occupazione dello stabilimento e produzioni enormi, mai nessuno di questi si è concluso positivamente.

Pomigliano Nel primo semestre del 2025 ha prodotto 78.975 vetture. Lontanissimo da quanto rivendicato dai piani produttivi annunciati dai vari amministratori delegati.

L’unica certezza è che tutti i siti produttivi si mantengono grazie al continuo e costante ricorso agli ammortizzatori sociali.

A Pomigliano d’Arco è stato infatti firmato, pochi giorni fa, un pre-accordo tra l’azienda e le sigle sindacali che estende di un ulteriore anno, fino all’8 settembre 2026, la cassa integrazione in regime di solidarietà in deroga per 3.750 lavoratori. La misura, che prevede una riduzione media dell’orario di lavoro fino al 75%, arriva dopo il biennio concesso dalla cassa integrazione ordinaria, ormai esaurito.

Inoltre, Stellantis ha comunicato ai sindacati la necessità di prolungare la durata della solidarietà per 2.297 lavoratori dello stabilimento di Mirafiori (Torino) fino al 31 gennaio. La produttività dell’azienda è in calo in tutti gli stabilimenti italiani, con flessioni fino al 72% rispetto all’anno scorso.

Lo stabilimento di Melfi è quello che ha subito il calo più drastico. Nei primi sei mesi del 2025 la produzione è scesa del 59,4%, con sole 19.070 vetture prodotte. Qui gli ammortizzatori sociali sono stati rinnovati per 4.860 metalmeccanici, ma i lavoratori guardano al futuro con grande incertezza.

Lo stabilimento di Termoli rappresenta uno dei casi più emblematici della crisi Stellantis. Dopo la chiusura della produzione del motore Fire, le linee attive sono ormai limitate ai V6, 2.0 T4 e Gse. A peggiorare il quadro, il progetto della gigafactory per le batterie non è mai realmente partito, lasciando i lavoratori nell’incertezza. Per i 1.823 dipendenti è stato firmato un accordo di solidarietà fino al 31 agosto 2026.

Nel mentre, l’azienda sta delocalizzando la produzione in Paesi africani come in Marocco e Algeria.

In sostanza Stellantis, ricordiamolo, società privata, in Italia continua a mantenere aperti i siti produttivi solo grazie al sovvenzionamento statale, e ciò sta garantendo disoccupazione, riduzione di personale, crisi e riduzione dei salari per i lavoratori e nel contempo, enormi profitti per gli azionisti il CDA e il CEO.

A tutto ciò le richieste delle O.S. e partiti di opposizione si limitano a chiedere l’intervento dello stato, Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, « È necessario che il governo chiami Stellantis alle proprie responsabilità per definire un vero piano di ricerca, sviluppo e produzione».

Anche la Fim-Cisl, attraverso il segretario generale Ferdinando Uliano, chiede un incontro urgente con il nuovo CEO e con l’esecutivo per discutere un piano industriale credibile per l’Italia, capace di garantire nuove produzioni e consolidare gli investimenti. Sulla stessa linea Rocco Palombella, leader della Uilm, che sollecita il governo a convocare rapidamente il Tavolo Stellantis.

Tutti chiedono un tavolo, ma senza analizzare minimamente le cause e le politiche che hanno condotto alla deindustrializzazione dell’Italia.

Ovviamente le politiche del globalismo liberista non si limita a desertificare solo l’Italia e paesi dell’Europa solidi come la Germania, ma ora continua a mietere e distruggere anche paesi emergenti, stando a quanto raccontano fonti interne allo stabilimento serbo di Stellantis a Kragujevac, l’azienda sta assumendo manodopera a basso costo dal Nord Africa per far fronte alla carenza di operai locali.

Questi ultimi, infatti, rifiutano di lavorare per gli stipendi offerti (circa 600 euro).

I nuovi dipendenti marocchini percepiscono uno stipendio base di 300 euro, integrato da un’indennità di trasferta di 700 euro. 

E ricordiamolo che il nostro modello più importante per Pomigliano, la Nuova Panda, è stato assegnato e viene prodotto in Serbia e solo poco tempo fa l’azienda ha infatti annunciato ingenti investimenti in Marocco e Algeria, dove i costi produttivi sono notevolmente più bassi.

La globalizzazione prevede proprio questo, una competizione tra lavoratori, una lotta al più basso costo, una lotta tra poveri, con un solo obbiettivo l’arricchimento di pochi.

Se si vuole garantire lavoro dignitoso, che l’Italia continui ad essere una nazione produttiva, che Stellantis continui a garantire almeno l’attuale occupazione, l’unica possibilità è quella di opporsi alla globalizzazione liberista.

Per farlo bisogna iniziare a far capire alla popolazione i motivi che spingono aziende come Stellantis a delocalizzare, e certamente non è spillando altri soldi alla collettività che si pone rimedio.

E’ necessario discutere con i lavoratori e la popolazione del pericolo, perché qui non si tratta solo di perdere lavoro o qualche azienda, il capitalismo liberista ha bisogno di aumentare sempre di più il suo profitto, queste sono le regole basilari del capitalismo, e se per doverlo fare non esclude di ricorrere a guerre e stermini, infatti per far fronte al calo produttivo, ricorrono ad una politica di guerra permanente, miliardi di euro da destinare ad armamenti, con centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, uccisi in nome del profitto.

Questo è il filo conduttore che lega, deindustrializzazione e politiche di guerra, dobbiamo opporci a tutto ciò, ovviamente, dobbiamo farlo insieme a tutti coloro che sono consapevoli del disastro che ci attende, non è una questione di appartenenza politica o sindacale, ma di sopravvivenza nel rispetto dei diritti e dignità sanciti in gran parte dalla nostra costituzione antifascista.

Pe salvare l’industria Italiana, i posti di lavoro e i diritti e la dignità dei lavoratori, non servono tavoli al ministero, ma rivendicare una politica completamente diversa  condivisa dal popolo e dai lavoratori, che parta dal basso. Per il capitalismo globalista il vero pericolo è un popolo informato…